15 Febbraio 2023

Dumpster diving: il recupero etico dalla spazzatura

Quanta strada ha fatto la sostenibilità in questi ultimi anni?
A grandi falcate, le azioni a sostegno dell’ambiente hanno cercato di recuperare terreno, dopo tanti anni passati nell’indifferenza. 


Poi, all’improvviso, anche trainate dal coraggio e dalla consapevolezza delle generazioni più giovani, le intenzioni pro-clima si sono tradotte in azioni concrete da parte dei governi, delle aziende, delle istituzioni, delle comunità e dei singoli. Lentamente ognuno ha iniziato a fare la sua parte: non a caso il motto di una delle attiviste più iconiche della lotta al clima, Greta Thunberg, è proprio “non si è mai troppo piccoli per fare la differenza”.

Le buone pratiche per la salvaguardia del clima si sono diffuse con una nuova energia e un entusiasmo crescente in ogni piccolo gesto, capace letteralmente di cambiare il corso degli eventi e prevenire le catastrofi annunciate. 


Tra le nuove abitudini eco-compatibili, ecco che ne compare una davvero dirompente, forse per certi versi ancora un po’ hard-core, ma che può affiancarsi alle azioni green quotidiane: il dumpster diving

 

 

Cos’è il dumpster diving? 

Si tratta di una pratica, molto diffusa in Europa, che consiste nel frugare nella spazzatura dei supermercati e recuperare cibo che è stato scartato, ma che in realtà è ancora in ottime condizioni per essere consumato.  


A un primo impatto, può far storcere il naso o sembrare una pratica di cattivo gusto. Ma il dumpster diving (letteralmente lanciarsi nel cassonetto) è tutt’altro che una mossa anti-etica. 


L’origine di questa pratica va rintracciata negli Stati Uniti degli anni Novanta, all’interno di una corrente ideologica anti-conformista e anti-consumista chiamata freegan, che faceva del recupero del cibo sprecato e del veganesimo un vero e proprio stile di vita. Negli anni questa tendenza ha attraversato l’oceano, conquistando anche l’Europa, soprattutto quella scandinava, dove oggi il dumpster diving è una pratica abbastanza diffusa tra le generazioni più giovani che abbinano la causa ecologica al risparmio personale.

 

Dumpster diving: come e perché praticarlo 

Malgrado i passi in avanti fatti in direzione anti-spreco, per la merce – soprattutto quella fresca, esposta nei reparti ortofrutticoli dei supermercati – esistono ancora standard stringenti legati alla bellezza degli alimenti. 


Quelli ritenuti inadeguati dal punto di vista estetico (per qualche ammaccamento o per le forme irregolari) finiscono direttamente nella spazzatura; quelli che riescono a passare la selezione ma restano invenduti fino a fine giornata, se lievemente danneggiati, spesso vengono buttati via poco prima della chiusura del supermercato. 

Così nella “pesca” nei cassonetti finiscono per accumularsi confezioni di frutta, di verdura e di carne ancora avvolte nel cellophane; ma anche salsa, pane e altri prodotti da forno, tutti ancora buoni da mangiare, perché prossimi a scadere ma non ancora andati a male. 


Il dumpster diving può essere praticato da soli o in compagnia: esistono gruppi di persone che si organizzano per andare alla ricerca dei prodotti scartati. Ma che sia un’esperienza in gruppo o in solitaria, esiste un codice di comportamento (o di buon senso) che viene osservato dagli “eco-esploratori”: 

  •  non prendere tutto il cibo ancora buono, ma assicurarsi di lasciarne un po’ per chi si immergerà nella ricerca più tardi;  
  • non prendere alimenti che hanno toccato i lati o il fondo del cassonetto
  • arrivati a casa, pulire accuratamente gli imballaggi prima di scartare gli alimenti; 
  • scegliere prodotti confezionati e in buone condizioni (senza aperture o tagli che hanno potuto contaminare e compromettere il cibo). 

 

Il dumpster diving in Italia 

Se in altri Paesi europei, il recupero di cibo dal cassonetto è una pratica salva-denaro e anti-spreco, in altri è illegale.
In Italia non c’è un divieto esplicito contro il recupero dei prodotti dai bidoni; molti di questi però sono spesso collocati su suoli privati, e questo basta a renderli proprietà privata. Quando invece i cassonetti si trovano su strade di competenza del Comune, bisogna prestare attenzione a non incappare in un furto ai suoi danni, perché qualsiasi oggetto gettato nei bidoni diventa di proprietà dell’ente incaricato dello smaltimento e del riciclaggio. 

Va detto che nel nostro Paese vige una norma del 2003 che tutela gli sprechi e favorisce la redistribuzione dei prodotti alimentari attraverso benefici fiscali per le attività commerciali che, attraverso una rete di associazioni, li devolvono a chi ne ha più bisogno.

 

In Italia, il dibattito sul rovistare nei cassonetti a scopo ecologico spesso rischia di perdere il vero focus della riflessione: grandi quantità di cibo ancora perfettamente commestibili vengono sistematicamente sprecate.
Dumpster diving o meno, è arrivato il momento di arginare il fenomeno.

 

E tu, invece, sei pro o contro questa pratica di recupero?